TRADUZIONE DI UMBERTA MESINA.
Siamo creati a immagine di Dio. In altre parole, siamo creati a immagine del Creatore, il che significa che siamo creatori anche noi. Siamo creativi nel senso ovvio ma profondo che anche noi facciamo creature a nostra immagine: a volte sono chiamate bambini. Siamo creativi anche nel fatto che costruiamo cose, progettiamo, facciamo attrezzi, cuciniamo, cuciamo, risolviamo problemi, recuperiamo l’ordine dal caos.Ma ci dedichiamo anche a un altro genere di creazione, di creatività: facciamo qualcosa che si chiama arte. Proprio come la creazione di Dio è un riflesso della sua gloria, qualcosa che Egli ha fatto e guardato e dichiarato buono, così i nostri atti creativi sono un riflesso della nostra gloria e – seguitemi, ora – siccome sono un riflesso della nostra gloria, sono parimenti un riflesso della gloria di Dio. È per questo che le opere d’arte veramente grandi sono in definitiva religiose, qualunque sia il loro oggetto immediato. La grande arte dà gloria a Dio. Tutta l’arte riconosce il Creatore semplicemente riconoscendo l’ordine creato. Se non lo fa, aggiunge semplicemente caos al caos e non può essere propriamente chiamata arte.Quando siamo vicini a Dio, la nostra arte è piena di Dio. Trabocca. È sempre nuova. Supera i secoli. Ha un fascino universale. Quando siamo lontani da Dio, la nostra arte è vuota, vuota di Dio e altrettanto vuota di ogni altra cosa. Può bruciare vivida per un momento ma si spegne rapidamente. E tutti i critici d’arte del re e tutti gli uomini del re non possono rimetterla insieme. La maggior parte delle forme d’arte – pittura, scultura, musica, perfino il teatro – si sono sviluppate entro il contesto religioso. Come ha detto Walker Percy, “l’arte è l’ancella della religione”.L’unica eccezione palese è la forma d’arte relativamente recente che sembra combinare tutte le altre forme d’arte: il cinema. Il cinema è iniziato e si è sviluppato completamente fuori dalla Chiesa. Esso è una forma d’arte che fu ideata principalmente come un mezzo d’intrattenimento passivo. Ha prodotto arte che è perlopiù stupida e priva di senso, ma a volte perfino peggio: a volte è volutamente cattiva. Certi film provocano danni concreti all’anima.Così, il cinema è stato un’eccezione nell’arte per il fatto che generalmente non è stato religioso. Ma ovviamente esistono eccezioni a questa eccezione, e la più ovvia di queste è il film La Passione di Cristo. Se avete visto questa pellicola (e sospetto che ormai l’abbiate vista) e se siete cattolici, probabilmente vi sarete accorti di aver assistito a una versione cinematografica delle stazioni della Via crucis e dei misteri dolorosi del rosario. Se siete cristiani non cattolici, non siete probabilmente scoraggiati da questi elementi cattolici perché il film è chiaramente centrato sul pezzo forte della fede cristiana, che è la Croce e il Sacrificio di Cristo. Tuttavia, se non siete cattolici e soprattutto se non siete cristiani, probabilmente nel film ci sono elementi che hanno su di voi lo stesso effetto delle stazioni della Via crucis o del rosario. Potete esserne incuriositi o confusi o perfino disgustati. Ma quelle sono precisamente le cose che sono state raffigurate nell’arte cattolica per secoli, in pittura o scultura o canti; le cose su cui i cattolici hanno meditato e che sono state essenziali per la loro vita di devoti. Passeggiate in un qualunque grande museo d’arte e vedrete le stesse immagini. Ora però le avete viste raffigurate nella più vivida forma d’arte mai conosciuta. E l’intera industria cinematografica sembra impotente dinanzi a questo. Così come la stampa non religiosa. Era facile ignorare le immagini sanguinose di Cristo nei musei d’arte deserti, ma quando hanno invaso i cinematografi, i media dominanti hanno attaccato questa pellicola come poche altre furono attaccate prima. I loro attacchi, tuttavia, sono stati respinti dai milioni di persone che si sono affollate per vedere il film.E così c’è speranza perfino per il cinema. Solo la Chiesa può redimere questa forma d’arte come ha redento tutte le altre. Mentre il cinema è, come dicevo, la più vivida forma d’arte, perché combina le arti plastiche e quelle dello spettacolo, esso fa anche appello all’unica arte che è più grande di se stessa e più grande di ogni arte. La parola scritta. L’artista letterario dipinge i suoi quadri usando solo le parole. Modella le sue statue solo con le parole. Fa cantare le parole. Le fa danzare. Richiama creature dagli abissi con le sole parole. Lo scrittore usa solo parole, il più difficile, il più impreciso di tutti i mezzi. Le parole. E tuttavia si può far più con le parole che con qualunque altro mezzo, perché le parole sono l’incantesimo che attiva la nostra immaginazione. L’artista letterario crea nella nostra mente immagini che non possono essere dipinte o scolpite o riprese sulla pellicola. Un buon libro può far nascere un buon film, ma il libro è sempre migliore del film.Il motivo per cui le arti letterarie sono forse sottostimate è che la maggior parte di noi è in grado di scrivere, ma solo pochi dipingono, disegnano, scolpiscono, danzano o compongono una sinfonia. Ma le immagini e la musica in effetti sono più semplici e basilari delle parole. Nelle parole dobbiamo immettere le idee più complesse e le emozioni più sottili e la maggior parte di noi non è tanto brava a farlo. Malgrado un oceano di parole, è raro trovare chiarezza di pensiero accompagnata da chiarezza di espressione. Un conto è avere una buona idea – sono certo che tutti ne abbiamo a migliaia – ma esser capaci di portare una buona idea ad altri, questo è un talento che pochissimi di noi possiedono. G.K. Chesterton diceva che l’arte è un successo solo quando una mente comunica con un’altra mente. Quando questo accade, quando l’artista ha espresso una grande idea, è una meraviglia ai nostri occhi. Ma è qualche volta ancor più penetrante quando l’artista ci dà la piacevole scossa della familiarità, quando ci trasmette la nostra stessa idea quando la riconosciamo come qualcosa che sappiamo ma che non eravamo mai stati capaci di dire.L’arte ha a che fare con l’articolazione. Chesterton dice che “Ogni cosa ha inizio nella mente”. Se ci pensate, le nostre menti sono luoghi di caos. Siamo sempre lì a cercare di mettervi ordine e ad assicurarci che il caos non prenda il sopravvento. È un tema frequente in tutti gli scritti di Chesterton, che la sanità mentale è un lavoro duro. È complessa. È bella. Come una cattedrale gotica. La follia è facile come cadere. È semplicistica e sgradevole e non richiede talento. In altre parole, somiglia all’arte moderna. Il caos ha preso decisamente il sopravvento nell’arte moderna.Chesterton dice che l’immaginazione è il più possente dei piaceri. Possiamo, naturalmente, fare qualunque cosa con la nostra immaginazione. È infinita. Ma come dice Chesterton, c’è un numero infinito di angoli da cui un uomo può cadere, c’è solo un angolo al quale può stare in piedi. C’è un numero infinito di modi per mancare il bersaglio, ma colpire il bersaglio è cosa rara, ed è la più poetica e romantica. Quando Chesterton pubblicò il suo primo romanzo, Il Napoleone di Notting Hill, Arthur Ransome lo recensì e disse che Chesterton aveva fatto quello che pochi scrittori avevano osato: era salito in groppa alla sua immaginazione e l’aveva cavalcata. Chesterton intitolò il suo romanzo successivo L’Uomo che fu Giovedì: un Incubo. Ma disse: “Cavalcherò l’incubo, non lascerò che mi cavalchi”. In altre parole, l’immaginazione è una cosa selvaggia e affascinante, ma può essere domata e deve essere domata. Deve obbedire a noi.E se non la domiamo, semplicemente se ne fugge lontano. Perciò Chesterton sostiene che la decadenza nell’arte non è un segno d’immaginazione, ma della perdita d’immaginazione. Un’immagine è una cosa che ha dei limiti. Ha un contorno. La natura non ha contorni. I contorni sono un mezzo dell’artista. Chesterton dice che “L’arte, come la moralità, consiste nel tirare la linea da qualche parte”. Va perfino oltre e dice che “L’essenza di ogni dipinto è la cornice”. Anche un paesaggio ha un aspetto migliore quando è panorama visto attraverso una finestra. “L’immaginazione – dice – è questione di immagini nitide, e quanto più una cosa diventa vaga tanto meno immaginativa è. Allo stesso modo, quanto più una cosa diventa selvaggia e sregolata tanto meno immaginativa è”.I limiti sono regole. Il paradosso è che la libertà esiste solo all’interno delle regole. Se infrangiamo le regole, non otteniamo la libertà. Considerate la poesia moderna: abbiamo infranto tutte le regole della poesia e lo chiamiamo “versi liberi”. E ora abbiamo poesie che non si riesce a riconoscere come poesie. Nessuno le legge, nessuno le impara a memoria, nessuno ne gode. La poesia è scappata lontano da noi. Chesterton, un poeta sontuoso, mantenne rima e metro e allitterazione quando il resto del mondo letterario faceva a gara per gettarli via. I poeti moderni consideravano la loro nuova forma un progresso. Ma la nuova forma non era per niente una forma. Il “verso libero” non è una nuova forma di metro “più di quanto dormire in una cunetta sia una forma di architettura”. Lo scopo della poesia è di “far camminare la lingua a quattro zampe”. Fai fare alla lingua quel che vuoi che faccia, ma lo fai con disciplina, restando entro le regole. Chesterton dice che la rima è qualcosa di essenziale per noi, la impariamo da piccolissimi. La rima è un po’ come tornare a casa dopo un viaggio, ci dà un senso di appagamento e di completezza.Chesterton dice che se fossimo “reali” a sufficienza parleremmo tutti in rima. Ma ci stiamo muovendo nella direzione opposta, via dalla realtà, verso la vaghezza e un’incoerenza balbettante. Le innovazioni non hanno migliorato la poesia. Per contro, considerate il capolavoro poetico di Chesterton, “Lepanto”. È una poesia perfetta. Il suo metro marcia come soldati verso la battaglia. Le sue rime risuonano come un’armonia a quattro voci. Le sue allitterazioni rimbalzano come perle su un piano di vetro. Malgrado sia vincolato da una forma tanto rigorosa, riesce a raccontare una storia, una storia a più livelli. Azzecca perfino la teologia. E desta le emozioni. La poesia era declamata dai soldati in trincea durante la prima guerra mondiale. Se ci prendessimo la pena di leggerla, ci ispirerebbe ancora oggi. Quello che ottiene con “Lepanto” su una piccola scala, egli ottiene su scala grandiosa con la sua Ballata del CavalloBianco. È l’ultimo grande poema epico della lingua inglese. Ironicamente, il titolo stesso sottolinea il tema del preservare la forma, in questo caso l’antico e onorato contorno di un cavallo bianco sulle colline del Wessex. È un lavoro duro conservarlo in ordine, un facile compito lasciarci crescere sopra le erbacce e guardar sparire la tradizione. La poesia di Chesterton mantiene presente il passato. Sarà apprezzata nei secoli, anche se ora è apprezzata solo da pochi ...
in questi giorni come deserti, in cui l’orgoglio e i piccoli recinti disseccano e lacerano i cuori degli uomini.
Chesterton scrive che “La più bella di tutte le funzioni del poeta è che dà agli uomini le parole, di cui gli uomini fin dal principio del mondo hanno avuto fame più che di pane”. Quando l’immaginazione creativa fa il suo lavoro, non è un atto di ribellione, è un atto di ripristino, che è molto più meraviglioso.E questo è il punto. Meraviglia. Essa ripristina nel mondo un sentimento di meraviglia. “La funzione dell’immaginazione” dice Chesterton “non è di sistemare cose strane, quanto piuttosto di rendere strane le cose già sistemate; non tanto trasformare le meraviglie in fatti, quanto piuttosto trasformare i fatti in meraviglie”. La ribellione non riesce a farlo. Ma la Rivoluzione sì. Rivoluzione significa girarsi indietro, significa recuperare le prime cose, le cose che abbiamo perduto.L’atto supremo di Ripristino è l’Incarnazione. L’Incarnazione è l’amore infinito di Dio stipato in una forma ideale. È una cosa espressa in maniera perfetta. Così perfetta che ci costringe a metterci in ginocchio. Tutta l’arte tenta di imitare questo atto di incarnazione: di esprimere qualcosa in maniera perfetta, di rendere carne la parola.La Creazione è un atto di amore. L’amore è un atto d’immaginazione. Chesterton dice che “la carità è l’immaginazione del cuore”. È feconda. Dà la vita. È per questo che contraccezione e aborto riflettono una mancanza d’immaginazione. Sono atti di distruzione e di disperazione. L’immaginazione dà vita.Ma mentre il risultato inevitabile dell’amore è l’incarnazione, Chesterton dice che il risultato inevitabile dell’incarnazione è la crocifissione. Chesterton, che aveva una formazione artistica, cita uno dei massimi artisti, Michelangelo, il quale scrisse in uno dei suoi ultimi sonetti: nulla esiste eccetto Cristo sulla Croce. Sembra averlo compreso anche Mel Gibson. Così come qualunque grande artista creativo che sia ispirato dal Creatore. L’atto drammatico supremo, l’atto supremo dell’immaginazione creativa, è di recuperare l’ordine dal caos, di metter nel sacco la morte nel momento stesso in cui la morte sembra aver trionfato. Dice Chesterton che “Le trombe dell’immaginazione, come le trombe della Resurrezione, richiamano i morti dalle loro tombe”.